Questa pagina è consacrata a Chronos

La Favola di Brandobras il Brandobardo

di Luca Mana

(Con illustrazioni di Bosch, Dalí, e de Chirico)


«SOLO CHI BRILLA DI LUCE PROPRIA, NON HA OMBRA»


I.

C'era una volta un villaggio dove vivevano degli esseri simili a noi, che chiameremo «Elfi». Il villaggio si chiamava «Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole». C'era una ragione, naturalmente, per questo nome: difatti il Villaggio era sempre illuminato da un meraviglioso e brillante Sole, che durante il suo tragitto nel cielo poteva pur arrivare a sfiorare l'orizzonte, ma non tramontava mai.

Il Sole però non era l'unica meraviglia del Villaggio: c'era anche un clima magnifico. Le quattro stagioni si alternavano, sí, proprio come avviene qui, ma erano come delle variazioni di una stessa Primavera. E gli alberi perdevano le foglie, ma mai i fiori; e i fiori cambiavano a seconda della stagione; e cambiavano di colore, di forma, e di profumo. Certi alberi possedevano addirittura dei fiori che cambiavano ogni mese; e altri ne possedevano che cambiavano ogni giorno: cosí che gli abitanti del Villaggio sapevano il giorno e il mese dalla fragranza dell'aria e dai colori delle chiome degli alberi che costeggiavano le vie.

Tutt'intorno al Villaggio c'erano campi coltivati, e prati e pascoli per il bestiame. Aldilà di essi, però, cominciava la «Foresta-senza-Sole»; questa circondava il Villaggio e i campi: essi costituivano un'oasi in mezzo alla Foresta. Anche il nome di questa aveva una sua ragione: infatti i fitti rami dei suoi alberi non permettevano alla Luce del Sole di passare, e cosí, per chi si fosse avventurato in essa, sarebbe stato il Buio Completo. La Foresta non aveva alberi dello stesso tipo di quelli del Villaggio: aveva alberi senza fiori né foglie; solo tronchi e rami nodosi, resinosi, appiccicosi, scuri, senza profumo. Al Villaggio si diceva che vivessero strane creature, e cattive, in quella Foresta. Creature senza Sole.

Naturalmente, tutto l'opposto degli abitanti del Villaggio! Questi erano cordiali l'uno verso l'altro; e lavoravano tutto il giorno, in allegria, con felicità. Nessuno veniva pagato, nessuno guadagnava - semplicemente, ognuno aveva il proprio ruolo per far fiorire la comunità, e ne era consapevole. I contadini facevano crescere sane e forti le piante, distribuivano i frutti alla gente; il maniscalco si occupava degli zoccoli di tutti i cavalli; il panettiere dava a ogni elfo il suo pane. Le massaie cantavano tutto il giorno, e c'erano canti diversi ad ogni ora - cosí che dalla melodia nell'aria potevi dire che ore fossero. E per finire, il tutto era immerso nelle risa dei bambini, che correvano per le vie del Villaggio e giocavano con ogni persona e ogni cosa, regalando sorrisi a tutti.

Nel Villaggio c'erano anche gli Anziani, i piú saggi. E questi davano consigli ai piú giovani, insegnavano un sacco di cose importanti agli elfi bambini, e curavano gli abitanti. (Comunque il caso piú grave che fosse mai capitato fu quando un elfo si graffiò un dito con la spina di una bella rosa; be', dovete capire che non c'erano malattie nel Villaggio, e gli abitanti e le cose si rispettavano a vicenda.)

Il Villaggio aveva un Consiglio, che avrebbe dovuto prendere le solite varie decisioni burocratiche, sistemare le cose se fossero andate male... Il fatto è che questo Consiglio non venne mai radunato: non ce ne fu mai bisogno.

Alcuni abitanti lavoravano come boscaioli ai confini estremi del Villaggio, là dove finivano i campi coltivati e cominciava la Foresta-senza-Sole: questa infatti avanzava sempre, i suoi alberi nodosi invadevano i campi, e se qualcuno non li avesse sradicati e non ne avesse tagliato i rami periodicamente (di frequente, a dire il vero), il Villaggio alla fine sarebbe scomparso sotto di essa.

Impedire alla Foresta di avanzare non era un lavoro facile: bisognava tagliare i suoi alberi con forti asce in acciaio (quel legno nodoso era molto resistente), raccogliere le schegge grandi e piccole (e quel legno era anche molto pesante), e inoltrarsi per un paio di passi nella sua Oscurità (sporcandosi di resina), per rigettare quelle schegge al suo interno. (Insomma: gli Elfi del Villaggio rendevano alla Foresta ciò che essa - non richiesta -, aveva deposto sui campi.) Infine bisognava stare a lavarsi per delle ore in modo da togliersi di dosso la resina appiccicosa e puzzolente.

Tra gli elfi coraggiosi che svolgevano quel lavoro c'era anche il nostro eroe: si chiamava Brandobras (già nome di un valoroso Hobbit di cui si parla in The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien: «Brandobras Tuc, il Ruggibrante»), detto il Brandobardo. Anche questo soprannome aveva un motivo: Brandobras infatti era un bardo, un cantastorie, suonava il liuto e usava le sue note per accompagnare le storie e le favole che raccontava soprattutto ai bambini. Ovviamente molte di queste storie erano legate al lavoro che egli svolgeva ai confini della Foresta: storie di Buio, di strane creature... Per esempio, egli raccontava di come a volte si sentissero degli strani rumori, delle risa disumane (be', dovrei dire «dis-elfiche») provenire dal profondo della Foresta; o per esempio di come piú di una volta fosse capitato che, ritornando al lavoro dopo il riposo, i «ferma-foresta» (cosí venivano chiamati gli Elfi che come Brandobras avevano quel compito faticoso) avessero trovato, sparsi sui campi, tutti i pezzi di legno che avevano prima gettato all'interno della Foresta: come se qualcuno, da lí dentro, li avesse buttati di nuovo fuori per dispetto...

Dicevamo: Brandobras raccontava tutte queste storie ai bambini, e descriveva ciò che vedeva - o meglio non vedeva - dentro la Foresta. A lui piaceva raccontare queste cose. Non solo: diceva che in fondo la Foresta non era cosí brutta, anzi era resa affascinante dal mistero che l'avvolgeva e dal Buio che vi regnava.

Gli Anziani però si rammaricavano col Brandobardo per questo: «Potresti mettere delle strane curiosità in testa ai bambini; potresti indurli ad avvicinarsi troppo alla Foresta - e sai quanto essa sia pericolosa!», dicevano.

Ma Brandobras non dava cosí tanto peso a queste preoccupazioni: i bambini erano svegli e intelligenti, la Foresta era davvero affascinante; lui provava davvero quel senso di fascino di cui raccontava.

E la Foresta metteva in lui ancora piú amore per il suo Villaggio: questo era il suo aspetto positivo; e questo non era un male.

Anzi...

Un giorno Brandobras fece questa considerazione: «Se, quando sto per pochi minuti lí dentro, al Buio (quando vi entro per gettare i rami tagliati), io provo cosí tanto amore per il mio Villaggio, e rivedendolo, all'uscita, provo cosí tanta gioia, allora ne proverei ancora di piú se stessi lí dentro per un'ora, o magari per un giorno... o magari anche per dei mesi interi!».

Fu per questo che Brandobras decise di partire. Prese molta roba da mangiare e da bere (nella Foresta infatti non ne avrebbe trovato), una torcia con la fiamma dalla lunga durata, qualcosa su cui dormire, un'accetta robusta, dei fogli su cui tracciare delle mappe, e - naturalmente! - il suo liuto, che gli avrebbe fatto compagnia: chissà quante belle canzoni e ballate il nostro bardo avrebbe composto, lí dentro, ispirato dalla nostalgia e dall'amore per il suo Villaggio!

Invano gli amici, i bambini, e soprattutto gli Anziani, cercarono di fermarlo: il Brandobardo una mattina lasciò la sua casetta blu e andò (ben equipaggiato, come abbiamo visto) fino al margine della Foresta. E lí prese il coraggio necessario per entrare: sapeva che ci sarebbe rimasto un bel po', che sarebbe andato in fondo, chissà dove. «Starò via per un paio di mesi al massimo, non preoccupatevi! - E quando tornerò, anche se sarò un po' stanco, vedrete la mia felicità!»: cosí rassicurò i suoi amici elfi.


Bosch: The Garden of Earthly Delights (central panel)


II.

E si inoltrò nella Foresta-senza-Sole. Già dopo aver percorso solo un paio di passi, Brandobras dovette accendere la torcia, benché un po' di Luce filtrasse ancora dal bordo della Foresta. Ma dopo una cinquantina di passi quella Luce Solare, ultimo segno del Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole, svaní, il suo accesso essendo bloccato dai neri alberi.

«Bene», si disse Brandobras con contentezza, «mi sono già accorto di quanto io ami la Luce del mio Villaggio!»; e proseguí facendo attenzione ad ogni passo.

Cammina cammina doveva essere arrivato mezzogiorno, poiché lo stomaco del nostro eroe diceva a questi, nel proprio linguaggio: «Fame! è ora di mangiare!». Naturalmente, lí, dentro la Foresta, non esistevano il mezzogiorno, la mattina, la sera: c'era sempre e solo Buio. La torcia rischiarava una zona larga appena un paio di passi.

Poggiata la sua fonte di luce per terra, Brandobras si sedette e cominciò a mangiare. La fragranza del cibo del Villaggio scacciò per un attimo il brutto odore di quella Foresta: «Ecco, ora mi accorgo di quanto io ami il cibo del mio bel Villaggio!», disse il Brandobardo con soddisfazione. Finí di mangiare, e si rimise in cammino.

Non starò a raccontare di tutti i giorni che Brandobras passò nella Foresta-senza-Sole. Però accaddero tante cose strane, e tristi, in quei giorni: di queste cose racconterò.

Per esempio, quando il Brandobardo, per la prima volta, pensando al suo amato Villaggio, prese il liuto e cominciò a intonare un canto, - all'improvviso l'aria si fece piú pesante, e la Foresta parve voler soffocare la sua voce. Difatti quanto piú egli cercava di alzare il tono della voce, tanto piú questa si perdeva e scompariva; finché nemmeno lui stesso fu piú in grado di sentirla; né riuscí piú a sentire gli accordi del suo liuto. «Non potrò cantare! Ah! questo no: non me lo sarei mai aspettato! Come potrò ora farmi compagnia? Come potrà il mio liuto dirmi le sue dolci note?»: cosí disse, senza potersi sentire, Brandobras quella volta. E per la prima volta l'infelicità toccò il suo cuore.

Non era solo il suo canto a dar fastidio alla Foresta, ma anche il suo passo leggero e armonioso. Infatti essa un giorno cominciò ad ostacolargli il cammino: rami caduti, ceppi morti, resina, fango: ogni cosa cercava di rallentare Brandobras, di trattenerlo, di fermarlo. Fortunatamente egli aveva con sé la sua forte accetta; - ma nell'usarla continuamente, il suo polso si fece molto dolorante, cosí come i suoi piedi per il continuo incespicare, cosí come il suo viso quando inciampando il Brandobardo cadde su un arbusto spinoso. «Ecco: ora so quanto io ami i bei campi verdi del mio Villaggio», disse con un po' di felicità; ma la felicità quella volta fu circondata da tanta, tanta tristezza; proprio come il Villaggio era circondato dalla interminabile Foresta; proprio come le guance del nostro Elfo erano circondate da tanti tagli e ferite.

E un altro giorno Brandobras disse: «Oh Foresta! Credi di farmi del male? ma non vedi che invece mi stai facendo solo del bene? non vedi come fai accrescere nel mio cuore l'amore che io nutro verso il mio Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole?». - A dire il vero, il nostro eroe non sentí le proprie parole (ma era sicuro di averle dette); però sentí un rumore, una risata: le creature della Foresta, che avevano sentito ciò che aveva detto, ridevano di lui.

Ormai il nostro bardo riusciva a percorrere solo pochi passi al giorno - e i giorni passavano, interminabili. E accadde un giorno il quarto avvenimento che ferí profondamente il cuore del Brandobardo. La Foresta, a quanto pare, non solo odiava la melodia della voce e dei passi dell'Elfo, ma anche la luce della sua torcia. La luce era tutto ciò che a Brandobras rimaneva per tenere viva nella sua memoria la Luce del Sole del suo Villaggio. Oh sí, è vero: quella torcia ora illuminava solo una distanza di mezzo passo, - ma era pur sempre luce, in mezzo al Buio.

E la crudele Foresta negò a Brandobras anche la luce: dapprima essa infittí l'Oscurità, e poi, poiché ciò non bastava a estinguere del tutto la fiamma della torcia, prese questa con uno dei suoi rami e la scaraventò nel fango, spegnendola.

Buio.

Brandobras pianse; e stavolta non c'era felicità nel suo cuore, né speranza: solo tristezza, e infelicità, e disperazione.

Quando avvenne quest'ultimo crudele fatto, erano già passati tanti tanti giorni dal mattino in cui l'Elfo aveva salutato i suoi amici. Per un mese egli aveva camminato e incespicato, con la sua torcia, nella Foresta.

Ora non avrebbe piú potuto fare attenzione a dove metteva i piedi, senza luce.

Ora non poteva piú controllare le mappe, senza luce.

Ma nonostante ciò, il Brandobardo continuò a camminare, a brancolare nel Buio e nel Silenzio, per altri giorni ancora.

Ma un giorno si fermò, il viso venato dalle lacrime. Buio e Silenzio intorno.

Non i rami avevano fermato l'Elfo, non il fango. Non il Buio, non il Silenzio: era stata la Disperazione.

La Disperazione era entrata nel cuore di Brandobras, e lí aveva ucciso la Speranza; Speranza del Sole, Speranza della Luce, Speranza del Villaggio. «Non rivedrò mai piú il mio Villaggio e il suo Sole. Non rivedrò mai piú la Luce», cosí egli si disse. «Ahimé! I miei amici avevano ragione. Io, incosciente, ho scelto la mia fine. Ma non per un cattivo motivo l'ho scelta: è l'amore che io nutro per il mio Villaggio, che mi ha spinto ad abbandonarlo. E questa Foresta mi ha tolto l'udito, la libertà di muovermi, la vista. E ora anche la Speranza».

Questa piega presero, allora, i tristi pensieri dell'Elfo: «Ma perché i miei amici non mi hanno trattenuto, anche contro la mia volontà? - avrebbero dovuto farlo, se mi avessero amato veramente. E perché il mio Sole non è stato in grado di tenermi legato a sé, con la sua Luce? Anch'esso non mi ha amato?».

Quella volta, ed era la prima volta nella sua vita, Brandobras pensò al suo Villaggio senza provare amore. Ma capí, all'improvviso: «Cosa sto pensando! Chi mi mette simili idee in testa e simili sentimenti nel cuore? Tu, Foresta-senza-Sole!... ho capito: tu mi vuoi togliere anche l'Amore! - Ma io non te lo permetterò!».

Il Brandobardo aveva preso una decisione - la piú Terribile delle decisioni. Per non farsi togliere l'Amore, Brandobras aveva deciso di togliersi la Vita!

L'Elfo si guardò attorno. Trovò un ramo appuntito. E, singhiozzando, lo impugnò a mo' di pugnale, e se lo puntò sul petto, all'altezza del cuore.

Ma... fermi tutti! - non abbiamo detto: «si guardò attorno»?


Dalí (untitled)


III.

Sí, il nostro disperato eroe si era effettivamente guardato attorno: poiché ci vedeva! - Oh, la luce era cosí fioca che non gli aveva nemmeno dato fastidio agli occhi, nonostante essi fossero stati cosí a lungo immersi in quella Oscurità; però era luce! «Luce! Luce!»: cosí gridò Brandobras, nel cui cuore era ricomparsa la Speranza. Sí, gridò: poiché ora ci sentiva! Gettò quel ramo appuntito, e corse verso il punto da cui veniva la luce. Sí, corse: la Foresta sembrava non riuscisse piú a fermarlo né a rallentarlo.

«Oh, che gioia! Quella non è la luce di una torcia: quella è Luce, la Luce del Sole del mio Villaggio!», cosí urlò il Brandobardo. Difatti piú avanzava, piú la Foresta si diradava e piú la Luce diventava forte: incomparabilmente forte rispetto a quella della fiamma di una torcia.

l'Elfo raggiunse il limite della Foresta-senza-Sole, uscí, e vide il cielo, e la Luce, e ne rimase piacevolmente accecato. E poi, quando poté di nuovo aprire bene gli occhi, cercò il suo Sole nel cielo. Cercò il disco luminoso dell'Astro.

In tutte le direzioni lo cercò.

Ma Brandobras non trovò il suo Sole.

Ma, allora, da dove proveniva tutta quella raggiante Luce? Come può esserci Luce senza Sole?

Il Brandobardo, felice di sentirsi vivo e senziente, e di nuovo pieno di Speranza e di amore, controllò bene attorno a sé.

Era in mezzo a un campo giallo di alte spighe, ma, piú in là, poteva vedere dei prati verdi. Ancora piú avanti, in lontananza, oltre i campi interminabili, c'erano delle abitazioni: un villaggio, circondato da mura. «Il mio Villaggio!», esclamò con gioia Brandobras. Ma aggiunse: «Però... a che scopo quella specie di fortificazione?». Il Villaggio del nostro eroe, infatti, non era cinto da mura; o almeno: il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole non era cosí, quando Brandobras lo aveva lasciato.

L'Elfo si preoccupò un po': «Sono stato lontano per cosí tanto tempo, che tutto è cambiato a tal punto?».

In effetti tutto era colorato, e profumato, e melodioso proprio come era nella terra del bardo; - però c'era anche qualcos'altro... Brandobras non riusciva a capire cosa fosse.

E oltretutto non c'era nessuno in giro. Solo animali: canarini, conigli, pecore, mucche, e, in un ruscello lí vicino, guizzavano dei pesci. Ma nemmeno un solo elfo.

Il Brandobardo si avviò verso il Villaggio (ora cinto da mura).

Il nostro amico in cuor suo era sicuro - ma non ditelo a nessuno -, che tutto ciò facesse parte di una sorpresa organizzata dai suoi amici elfi per il suo ritorno: volevano fargli credere che fosse giunto in qualche altro luogo, in qualche altro villaggio. Ma, cosí egli pensava, una volta che lui avesse varcato quelle mura, essi sarebbero saltati tutti fuori da qualche posto dando inizio a una gran festa in suo onore (gli abitanti del Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole erano fatti cosí!). Decise quindi di far finta di credere veramente che quello fosse qualche altro villaggio, non il suo («Che idea strampalata: non esistono altri villaggi, oltre al mio!», pensò), in modo da non rovinare quella sorpresa.

Arrivò alle mura. Queste erano in pietra - ma una pietra strana, molto ben levigata. E, naturalmente, c'erano delle porte in quelle mura. Prima di varcarle (erano aperte), Brandobras si volse a guardare indietro; rivide i campi e i prati e, molto lontano, il bordo della Foresta.

Però - oh, no! - notò anche un'altra cosa: i suoi stivali, tutti sporchi di fango e resina, avevano lasciato un bel po' di sporcizia lungo i prati e i campi. L'Elfo vide le orme scure da lui lasciate, che dal lontano margine della Foresta arrivavano sino alla soglia delle porte del Villaggio, sotto i suoi piedi.

«Che peccato!», disse, «ho rovinato un po' quei campi e quei prati. Dovrò proprio rimuovere quel fango (dopo che la festa sarà terminata!)». Si sfilò gli stivali e li tenne in mano, in modo da non sporcare anche le vie del suo... - ehm: di quel Villaggio... dopotutto poteva camminare benissimo anche a piedi nudi, come facevano sempre gli elfi bambini!

Davanti a lui, all'interno delle mura, c'erano le case, e le vie costeggiate dagli alberi. Tutto era vivacemente colorato e, come sempre, la varietà non mancava nella tinta, nella forma, e nel profumo dei fiori. Ma, cosí come nei prati e nei campi all'esterno, anche in quelle case e in quelle strade c'era qualcos'altro che Brandobras non riusciva a identificare...

Varcò le porte, pensando «Ora i miei amici appariranno da dietro qualche casa!», e mal celando un sorriso. Ma nessuno apparve. «Eccomi, Villaggio-cinto-da-mura!», disse egli allora a voce piuttosto alta. Ma ancora nessuno per la via. Mah! Il Brandobardo decise di esaminare il nuovo assetto che gli elfi avevano dato al Villaggio (e se fosse stato davvero un villaggio sconosciuto? Ah! ma che idea assurda!); esso infatti era ben diverso, nella disposizione delle case e delle vie, da come era prima che Brandobras partisse - e quindi ben meritevole di esplorazione. Il suo nuovo aspetto comunque piaceva al nostro Elfo: tutto era piacevole a vedersi e a sentirsi (a sentirsi non solo con gli orecchi, ma anche col naso e col tatto - in particolare con la pianta dei piedi...).

Per prima cosa l'Elfo esaminò le strade: erano pavimentate con un tipo di pietra strana e ben levigata (sí, la stessa delle mura), di un bel colore giallo; la sfumatura del giallo cambiava da strada a strada.

Poi il nostro eroe osservò gli alberi e i loro fiori: non ne aveva mai visto di quelle forme, di quei colori, di quella lucentezza, di quel profumo; tutti bellissimi! «Chissà da dove i miei amici elfi li avranno presi!», si chiese Brandobras. Un certo albero lo fece rimanere addirittura a bocca aperta: in esso ogni fiore cambiava aspetto ad ogni istante, e di tanto in tanto qualcuno appassiva e scompariva, altre volte invece era una gemma ad apparire e a sbocciare subito in fiore! Dopo aver chiesto il permesso all'albero (e aver avuto il consenso di questo - anche se in una lingua inconsueta, rispetto a quella parlata dagli alberi del Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole!), il Brandobardo colse uno di quei fiori e se ne adornò il mantello.

Brandobras decise quindi di entrare in una delle case, tanto belle esternamente da far immaginare anche un bellissimo interno. Ce n'era una che aveva l'uscio socchiuso; l'Elfo si avvicinò e bussò, ma nessuno rispose. Cosí entrò.

(A questo punto è necessaria una piccola spiegazione, altrimenti il nostro eroe potrebbe sembrare, a voi che avete usanze tanto strane, un po' maleducato ad entrare in quel modo, non invitato. Bene, dovete sapere innanzitutto che nel Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole il silenzio era equivalente a una risposta affermativa o a un invito - un po' come voi dite «chi tace acconsente». Inoltre l'arrivo imprevisto e non annunciato di un ospite era una cosa molto gradita. Oltre a ciò, dovete sapere che nel Villaggio di Brandobras non è che ogni casa avesse un proprietario: le case erano di tutti, e in ognuna abitava quasi sempre la stessa famiglia solo perché sarebbe stato scomodo fare continui traslochi. Infine, capitava spesso nel Villaggio che un elfo andasse nella casa abitata da qualche altro elfo, quando questi non c'era, e vi mettesse un po' d'ordine e preparasse il pranzo o la cena per l'assente - facendogli cosí una gradita sorpresa. - Ora che abbiamo giustificato il comportamento del nostro Elfo, possiamo continuare con la storia.)

Bene, dicevamo: Brandobras aprí la porta, ma prima di entrare diede un ultimo sguardo alla via, per vedere se qualcuno era apparso. Nessuno era apparso.

Però il Brandobardo notò questo: non era bastato che egli avesse preso in mano gli stivali, per non sporcare: infatti il fango gocciolava dal loro fondo, e cosí l'Elfo aveva lasciato tante goccioline scure per la via. «Che testone che sono!», si disse Brandobras. «Vabbe': poi pulirò anche la strada, oltre che i campi! (Dopo la festa... Ma ci sarà questa festa?)». Poggiò gli stivali sull'uscio, in modo da non portare fango anche dentro (questo sí che sarebbe stato da maleducati!).

L'interno della casa era semplice, molto bello e confortevole, e tutto allegramente colorato; l'arredamento era simile a quello di qualsiasi casa del suo Villaggio. Anche lí però c'era qualcos'altro che... mah! lasciamo stare. Il bardo vide che non c'era nessuno; e tutto era in ordine, in tutte le stanze; cosí decise di preparare il pranzo per quell'elfo, o quegli elfi, che risiedevano lí.

Trovò tutto il necessario per apparecchiare la tavola e per cucinare. Ci mise un po' di tempo, ma poi tutto fu pronto. «Ah, no! manca ancora una cosa: il vino!», esclamò Brandobras.

E scese in cantina a prenderne una bottiglia.

In cantina, per prima cosa, cercò la torcia a muro da accendere per fare un po' di luce (nelle cantine non ci son mai finestre). La cercò ma...


De Chirico: The Enigma of the Hour


IV.

In quella cantina, per la prima volta Brandobras riuscí a capire cosa veramente fosse quel «qualcos'altro» presente dappertutto ma che egli non era ancora riuscito a identificare! -: Le pietre emanavano luce! E non solo le pietre, ma ogni cosa, anche il fiore che adornava il suo mantello! Non c'era bisogno di accendere una torcia nella cantina: la cantina infatti non era al buio, pur non avendo finestre! Tutto brillava!

Il Brandobardo tornò in fretta su in cucina, e guardò con attenzione ogni cosa: anche lí tutto emanava luce! Come poteva non essersene accorto prima! - Si affacciò a una finestra e diede uno sguardo attento fuori. Non ebbe piú dubbi: in quel posto ogni cosa brillava! ogni cosa brillava di Luce propria!

Ed ecco spiegato perché il cielo era inondato di Luce, pur non essendoci il Sole: erano le stesse cose a illuminare tutto! Era lo stesso Villaggio a risplendere!

Brandobras capí che quello non poteva essere il suo Villaggio: il Villaggio-cinto-da-mura (cosí chiamò quel nuovo villaggio) non era il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole.

Ci mise un po', il nostro eroe, a riprendersi dall'emozione e dallo stupore. Però, spinto dal buon istinto, proprio di tutti gli Elfi, di non lasciar niente a metà, andò a finire ciò che aveva iniziato.

Cosí scese di nuovo in cantina, per prendere il vino.

Ma non ne trovò. Non c'erano né botti né bottiglie in cantina: solo bicchieri e calici vuoti. «Be', faremo a meno del vino! Dopotutto l'acqua c'è già, e solo essa è indispensabile!», disse Brandobras.

Tornò in cucina, e diede un'ultima occhiata alla tavola, e... meraviglia! I bicchieri erano colmi di vino! - «Ma io non ne ho versato!», pensò il Brandobardo, mentre ripercorreva con la memoria tutte le tappe della preparazione del pranzo (e rivivendo anche lo stupore della scoperta della Luce degli oggetti). E difatti non c'erano bottiglie di vino sul tavolo, né altrove in quella cucina. «Ma allora come?...»: il bardo era molto meravigliato. (Quante strane sorprese, in cosí poco tempo!)

Decise di assaggiare un po' di quel vino (gli Elfi erano buongustai, e andavano matti per il vino). Prese uno dei bicchieri, ne osservò il contenuto liquido, apprezzandone l'odore e il colore (anche il vino riluceva). Bevve. «Buonissimo!», esclamò, degustando il retrogusto e facendo schioccare la lingua. E posò il bicchiere, ora vuoto, sul tavolo.

Osservò però che il vino contenuto in ogni bicchiere aveva dei riflessi diversi. Cosí decise di assaggiare da un altro bicchiere; ma, un po' per lo stupore e la meraviglia che si erano accumulati nel suo animo in seguito a tanti avvenimenti, un po' perché ogni tanto capita a tutti di fare un movimento maldestro, il nostro eroe rovesciò un bicchiere pieno, e il vino andò sulla tovaglia. «Insomma, oggi non ne combino una giusta!», si rimproverò Brandobras. Però subito si consolò: «Meno male che almeno non ho rotto il bicchiere». E decise che era il caso di cambiare la tovaglia.

Ma... Eh, sí: quella era proprio la giornata delle meraviglie! Infatti la tovaglia non era bagnata: il vino le aveva fatto cambiare colore, lasciandola asciutta! E non è che fosse macchiata: aveva proprio cambiato interamente colore! non il colore del vino: la tovaglia da gialla era diventata verde chiaro (e il vino era rosso scuro)!

Ma questo non era l'unico fatto meraviglioso! Infatti, sia il bicchiere da cui il nostro amico aveva bevuto, sia quello che egli aveva rovesciato (e prontamente rimesso in piedi), erano di nuovo pieni di vino!

D'impulso il Brandobardo bevve di nuovo da uno dei bicchieri; e, poggiato nuovamente sul tavolo, il bicchiere si riempiva nuovamente quasi fino all'orlo, da solo!

«!», disse Brandobras... Eh, eh! sí: non disse proprio niente, tanto era stupefatto! Poi però riuscí a dire: «Che posto è mai questo? Oggetti che brillano, bicchieri che si riempiono da soli...!».

L'Elfo decise di uscire da quella «casa-delle-meraviglie». Ma prima... prima andò in cantina per l'ultima volta, e prese in mano uno dei calici vuoti che erano lí. E, appena il calice fu nella stretta della sua mano, si riempí di vino, dal nulla. Brandobras decise di tenere con sé quel calice.

(Be', capirete che anche questo non era assolutamente un atto di maleducazione, secondo le usanze del Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole. I piú arguti tra di voi però obietteranno: «sí, ma il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole non era il Villaggio-cinto-da-mura, e forse in quest'ultimo ciò che ha fatto Brandobras era considerato un atto da maleducati. Brandobras non avrebbe dovuto prendere il calice, dato che ora sapeva di non essere nel suo Villaggio». Questa è una giusta obiezione; ma noi possiamo metterci nei panni del nostro amico elfo e comprenderlo e giustificarlo. E comunque siamo interessati al resto della storia, no? - Allora continuiamo a seguire il racconto e non stiamo a discutere troppo su quisquilie del genere.)

Dunque: il Brandobardo, col suo calice colmo, uscí da quella casa. E, proprio sull'uscio... - un'altra meraviglia!

C'erano ancora i suoi stivali, lí - ma non erano sporchi! (Eppure lui non li aveva ancora puliti!) E, inoltre, vi ricordate delle gocce di fango che da essi erano cadute sulla strada mentre il nostro Elfo gironzolava? Ebbene: da ognuna di quelle gocce era spuntato un fiore - e che bei fiori erano! e ognuno di un tipo diverso!

Brandobras immaginò in quell'istante una certa cosa... Si rimise gli stivali (dato che ora erano puliti), e corse alle porte del Villaggio - e vide ciò che aveva immaginato: vi ricordate che i suoi stivali avevano lasciato delle brutte impronte di fango nei campi e nei prati? Ebbene, da ognuna di quelle impronte erano cresciuti non dei fiori, ma addirittura degli alberi pieni di fiori!

Quante meraviglie, in quel Villaggio! Quante cose buone e belle!

E in Brandobras, nel cuore di Brandobras, comparve un sentimento nuovo. Un nuovo amore era nato in lui: Amore per il Villaggio-cinto-da-mura, accanto all'Amore, sempre presente, per il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole.

Il Brandobardo percorse altre vie, e visitò altre case in quel Villaggio: tutte erano come quella prima via che aveva percorso e quella prima casa-delle-meraviglie (ormai la chiamava cosí) che aveva visitato. Ma nessuno abitava in quel Villaggio. E questo era un fatto triste. Brandobras aveva ritrovato la felicità, ma ad essa mancava un pezzetto: quel pezzetto, la cui assenza è chiamata: solitudine. Il nostro Elfo era solo, senza amici.

Fu il desiderio di poterli rivedere, seppur da lontano, che spinse il nostro Brandobras a salire sulla Torre.


Dalí: Sun Table


V.

Al centro del Villaggio c'era infatti una torre altissima, molto molto piú alta di qualsiasi campanile del Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole. Anzi, a guardarla bene (a naso in sú) doveva essere alta quanto centinaia, o addirittura migliaia di campanili del Villaggio di cui il nostro Elfo era originario.

Egli decise di arrivare sino in cima: «Da lassú potrò osservare il panorama con un'alta e ampia visuale», cosí disse, «e chissà che non si possa anche vedere il mio Villaggio e i suoi abitanti!» - questa era la sua speranza.

E si incamminò su per gli scalini della Torre. Ad essere sinceri, Brandobras non arrivò proprio sino in cima; giunse però a un piano dal quale si aveva una visuale abbastanza soddisfacente (la Torre aveva finestre ad ogni livello), e quindi decise che, per quella volta, non sarebbe salito oltre. Be', il nostro stesso amico dovette ammettere tra sé e sé che era stato faticoso ascendere fin lassú. Pensate infatti che ci aveva impiegato dei giorni interi, riposandosi ogni notte sui gradini!

Ma il panorama! Che panorama! E che vertigine, guardare le cose da tanta altezza! Brandobras vide il Villaggio-cinto-da-mura, come una macchia colorata e dorata, alla base della Torre; e vide la Foresta-senza-Sole estendersi tutt'intorno. E a un certo punto il nostro eroe si commosse e pianse: poiché vide anche il suo Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole, in lontananza, coi suoi campi, circondato esso pure dalla Foresta. Vide il suo Sole, che piccolo roteava attorno a quel lontano Villaggio, illuminandolo. E al nostro Elfo parve anche di riuscire a scorgere la sua casetta blu, e qualche elfo che lavorava nei prati (ma probabilmente quella era un'illusione prodotta dalla solitudine).

Brandobras poté vedere, anche se ormai le lacrime gli annebbiavano un po' la vista, che c'erano tanti altri piccoli villaggi, sperduti nella Foresta, ognuno illuminato dal proprio piccolo sole roteante. Qualcuno, come il Villaggio da cui l'Elfo proveniva, aveva un sole bianco; qualcuno ne aveva uno giallo; qualcun altro uno rosso. Era solo il Villaggio-cinto-da-mura a non avere un sole.

Il Brandobardo cercò nella Foresta un tragitto che portasse al suo Villaggio, e se lo impresse bene in mente. E scese.

Ci vollero dei giorni anche per scendere, seppure un po' di meno rispetto a quelli impiegati per salire. (Si sa: scendere è piú facile che salire; o, a seconda di come voi vediate le cose, salire è piú difficile che scendere.)

Brandobras, una volta uscito dalla Torre, decise di prepararsi a partire per il suo vecchio Villaggio.

E cosí fece: prese della roba da mangiare, il suo «calice-sempre-pieno», il suo liuto, la sua accetta, e... e per la torcia? Aveva perduto la sua nella Foresta, e in quel Villaggio non ce n'erano... - Allora prese un bastone: dal momento che ogni oggetto brillava, ogni oggetto era come una torcia sempre accesa! «Speriamo che brilli forte, questo bastone, anche quando sarò in mezzo alla Foresta!», si augurò di cuore il Brandobardo.

Si diresse verso le altre porte del Villaggio-cinto-da-mura (non quelle da cui era entrato la prima volta; be', tutte le mura hanno almeno due porte); infatti dalla Torre aveva visto che gli sarebbe convenuto prendere quella direzione, per poter arrivare al Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole attraversando il piú breve tratto possibile di Foresta.

Appena varcate quelle porte, però, la sua attenzione fu attratta da un campetto recintato, che assomigliava molto a un piccolo cimitero (come quello che c'era nel suo Villaggio di origine). Vi andò.

Effettivamente, quello era proprio un cimitero, anche se v'era una sola lapide, circondata da tanti bei fiori colorati. Su questa era scolpito, in altorilievo, il volto di uno strano elfo dalle grandi orecchie appuntite (e un po' a sventola); ma ciò che piú colpí l'attenzione di Brandobras fu l'epitaffio sulla lapide. Diceva:

FUI IO A SCOPRIRE QUESTI CAMPI
E LA TORRE AL CENTRO DI QUESTI CAMPI
CHE HANNO IN SÉ LA LUCE

FUI IO A COSTRUIRE IL VILLAGGIO ATTORNO ALLA TORRE
E LO BATTEZZAI
«VILLAGGIO-CHE-BRILLA-DI-LUCE-PROPRIA»

DA SOLO IO VISSI QUI PER TANTI ANNI
FINCHÉ LA MORTE NON VENNE A TROVARMI

FU LEI STESSA A SEPPELLIRMI
E A SCOLPIRE QUESTA LAPIDE

BENE MI TROVAI QUI
E BENE COSTRUII IL VILLAGGIO

MA MANCANO DUE COSE:
CANTI DI MASSAIE E RISA DI BAMBINI

VENITE A VIVERE QUI
E PORTATE CON VOI
CANTI DI MASSAIE E RISA DI BAMBINI!

- SOLO CIÒ CHE BRILLA DI LUCE PROPRIA NON HA OMBRA -

Il Brandobardo si rattristò un poco leggendo quelle parole. E, guardando di nuovo il viso scolpito di quello strano elfo, capí che questi doveva aver conosciuto tanta tanta gioia, ma anche tanta tanta tristezza.

E Brandobras promise, di fronte alla lapide: «Io verrò a vivere qui: questo sarà il mio Villaggio, d'ora in poi. E vi porterò canti di massaie e risa di bambini».

Il nostro Elfo continuò attraverso i campi e i prati e arrivò fin dove questi si fondevano con la Foresta-senza-Sole. Egli infatti notò che non v'era, differentemente dal Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole, una netta linea di separazione tra i campi e la Foresta: in questo posto i primi si amalgamavano con la seconda; quelli man mano scomparivano e questa man mano occupava piú spazio con i suoi alberi, arrivando a un certo punto a coprire completamente il terreno.

Il Brandobardo indugiò per un momento, ricordando gli Oscuri giorni passati nella Foresta, ricordando il modo in cui la Disperazione aveva quasi ucciso la sua Speranza.

Ma egli si sentiva anche piú forte; - e cosí riprese il cammino, con decisione.


De Chirico: The Awakening of Ariadne


VI.

Man mano che la Foresta si infittiva, il Buio aumentava; ma Brandobras si accorse con gioia che il bastone rifulgeva di una Luce splendente: illuminava una distanza lunga piú di cento passi. E l'andatura del nostro bardo non era incerta, come lo era stata nel triste viaggio di andata: ora egli incedeva senza aver bisogno di usare l'accetta, e sembrava quasi danzare tra quei rami nodosi, quegli arbusti morti, quei ceppi resinosi. Inoltre notò che non c'era quel forte brutto odore che aveva sempre sentito lí, nella Foresta-senza-Sole.

Era cosí contento, che durante tutto il primo giorno di cammino si dimenticò di mangiare. Ma il secondo giorno il suo stomaco protestò un poco, nel linguaggio che gli era proprio. Cosí il Brandobardo si fermò, piantò il suo bastone in terra, e si sedette. Prese un pezzo di pane dal suo zaino e se lo portò alla bocca - ma... ma lanciò un'esclamazione!

Infatti le sue mani... le sue stesse mani brillavano! - Guardò i suoi vestiti, il suo corpo: Brandobras brillava! Brandobras brillava di Luce propria! Come poteva essere successo? Cosa gli era accaduto? Erano state quelle terre? quel Villaggio?

Il Brandobardo illuminava, da solo, un'ampia zona della Foresta. Si guardò attorno, stupefatto.

E... Oh! ma le meraviglie non finiscono mai? Sapete perché chiedo questo? Perché il nostro brillante Elfo vide che, lí dove era passato, aveva anche lasciato delle impronte luminose; - ma non è tutto: da quelle impronte erano spuntati fiori colorati e profumati (ecco perché la Foresta non aveva quel brutto odore!), e addirittura un paio d'alberi dalle gemme variopinte!

Il Brandobardo toccò con una mano il suolo: ed ecco che, lí dove aveva poggiato la mano, cominciava a crescere qualche filo d'erba verde e fresca.

Brandobras pianse di felicità.

«Ecco», disse con voce singhiozzante e felice, «io farò di questa via nella Foresta una Via-Fiorita che metterà in comunicazione il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole con il Villaggio-che-brilla-di-Luce-propria, e ogni Elfo potrà andare da un villaggio all'altro, senza aver paura della Foresta! Andrò dagli Anziani, per descrivere loro le meraviglie che ho trovato e per mostrarne loro qualcuna - questo calice-sempre-pieno, per esempio, o questo bastone rilucente; o queste mie stesse mani che brillano! - Ogni Elfo potrà assaporare questa Felicità! Quante cose meravigliose potremo fare tutti insieme!».

E prese il suo liuto, e intonò un canto, con una voce piú forte che mai (da quando era partito la prima volta, non aveva ancora mai cantato né aveva ancora composto una canzone). Le note corsero tra gli alberi, e le creature misteriose della Foresta scapparono e urlarono per quella melodia, ma l'animo di Brandobras non ne fu turbato. Il nostro Elfo cantò, e cantò a lungo, e con gioia.

Poi il nostro eroe riprese il cammino; ma non c'è altro da raccontare di quel viaggio. In pochi giorni Brandobras arrivò al Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole.


Dalí: The Echo of the Vold


VII.

L'Elfo emerse dalla Foresta; ma già il suo canto (cantava continuamente, ormai) aveva preannunciato il suo arrivo qualche istante prima. E tanti elfi gli corsero incontro, facendogli festa! Egli pianse: era felicissimo di rivedere tutti. Forse non era mai stato cosí tanto felice in tutta la sua vita.

Andò subito dagli Anziani; questi lo accolsero con calore e gioia. Lui tirò fuori dal suo zaino il calice-sempre-pieno, e lo mostrò loro: «Vi prego, bevete di questo vino!», disse. Un Anziano ne bevve, e disse che era buono. Ma Brandobras richiamò l'attenzione di tutti di nuovo sul calice: «Osservatelo, fratelli!», disse. E tutti videro il calice riempirsi da solo e traboccare di nuovo di vino.

Tutti ammutolirono. Ma sul viso di due Anziani apparve un sorriso, ed essi dissero al nostro bardo - che intanto aveva bevuto anche lui dal calice e stava mostrando ancora una volta a tutti come quello si riempisse da solo -: «Ohé, Brandobras! hai inventato dei nuovi giochi di prestigio, nella Foresta?». Tutti risero, compreso il nostro Elfo. Ma poi egli disse, serio: «No, questo non è un gioco di prestigio; non è un trucco. E questo calice non l'ho portato con me in viaggio da questo villaggio, né l'ho trovato nella Foresta». Allora tutti si fecero nuovamente seri. L'Anziano che aveva bevuto il vino si allontanò in silenzio. (Volete sapere dove andò? Non è importante, ma se lo volete proprio sapere, ve lo dirò: l'Anziano andò in un posto isolato, e lí si cacciò le dita in gola per rigurgitare il vino che aveva bevuto. Ma non uscí vino dalla sua bocca: ne uscirono, invece, fiori profumati e ragni velenosi.)

Brandobras continuò: «Ho scoperto un altro Villaggio, nella Foresta - lí ho preso questo calice -: un Villaggio senza Sole, dove ogni cosa brilla di Luce propria. Ecco: guardate questo bastone!». E mostrò agli Anziani il suo bastone rifulgente. Molti ebbero paura di guardarlo; alcuni dissero a Brandobras: «Rigettalo nella Foresta!». Altri ancora ordinarono al nostro eroe di non dire bugie: «Non esiste un altro villaggio, oltre al nostro Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole! E per di piú non può esistere Luce senza il nostro Sole!», cosí gli urlarono.

Il Brandobardo fu triste. «Ma non capite?», disse loro, «non capite quale Tesoro sia, e quanto Prezioso sia, quel Villaggio? - Io non dico bugie, e ho con me le prove di ciò che racconto. E non solo esiste un Villaggio che brilla di Luce propria: esistono tanti altri villaggi, ognuno con un proprio piccolo sole colorato!».

Fu il pandemonio. Per la prima volta nel Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole vi furono agitazione e disordine e urla e panico.

Gli Anziani non vollero piú parlare col Brandobardo. Egli, triste, andò dagli altri suoi amici elfi; questi subito gli chiesero di raccontar loro del suo viaggio. E il nostro eroe, ritrovata un po' di gioia grazie al loro affetto, raccontò del primo triste viaggio nella Foresta, della Disperazione, del Villaggio-cinto-da-mura, della casa-delle-meraviglie, di come egli si accorse del fatto che tutto laggiú brillava di Luce propria, del vino e dei calici sempre pieni, della Torre, del panorama, dei vari villaggi, ognuno col proprio sole, e del suo secondo (e non triste) viaggio nella Foresta; ma non raccontò della lapide e dello strano Elfo dalle grandi orecchie appuntite (e un po' a sventola) e dell'epitaffio sulla lapide.

I suoi amici elfi erano tutti sorridenti, e lui era veramente felice per questo. E molti di essi dissero: «Quanto sei bravo a inventare e a raccontare le favole, Brandobras il Brandobardo!». Il bardo allora spiegò: «No, amici cari, questa volta non vi sto raccontando una favola: è tutto vero, e ve lo posso dimostrare, se non mi credete». E mostrò il calice e il bastone; e mostrò i suoi vestiti e le sue mani - egli infatti brillava di Luce propria.


Bosch: The Conjuror


VIII.

Tutti noi intessiamo dei bei progetti, ricamati con un filo di Speranza. Ma quando questi progetti vanno a finire al contrario di come li avevamo progettati e desiderati, allora la tristezza ci assale. Però, nonostante questo, noi non dobbiamo perdere quel filo di Speranza. Il nostro Elfo fu assalito dalla tristezza: poiché, dopo che ebbe mostrato la Luce che proveniva dai suoi vestiti, dal suo bastone, dalle sue mani che tenevano un calice sempre traboccante di vino, tutti i suoi amici elfi scapparono. E da allora furono molto pochi quelli che gli rivolsero di nuovo la parola (e, anche questi, solo da lontano!).

Ma, nonostante questo, il nostro Elfo, pur nella sua tristezza, non perse il suo filo di Speranza.

Non bisogna mai perdere la Speranza.

Brandobras cercò di parlare con Fiume D'Oro. Fiume D'Oro era una bella elfa, e aveva quel nome perché i suoi capelli biondi e ondulati facevano venire in mente, a chi li guardava, le anse di un fiume d'oro. Brandobras era tanto affezionato a quella elfa.

Fiume D'Oro, anche se un po' spaventata come gli altri elfi, alla fine parlò con lui - tenendosi però un po' lontana -. E il nostro Elfo le raccontò di quanto fosse bello il Villaggio-che-brilla-di-Luce-propria, e le chiese se volesse andare con lui in quel luogo.

«Non ti seguirei mai fuori da questo mio Villaggio. E, in verità, non andrei con te da nessuna parte, a prescindere, neanche se si trattasse di un posto qui dietro l'angolo», rispose lei dolcemente. Brandobras aveva immaginato una simile risposta da parte di Fiume D'Oro. Ma, anche se preparato nel suo animo, pianse lo stesso.

Ma non bisogna mai perdere la Speranza. E Brandobras non perse ancora la propria Speranza.

Egli chiamò a sé gli elfi bambini, che accorsero, felici come sempre di sentire ciò che egli aveva da cantare e raccontare. E, accordato il suo liuto, Brandobras raccontò agli elfi bambini una favola: «La Favola di Brandobras il Brandobardo». E il suo bastone rilucente, il suo calice sempre traboccante di vino, ed egli stesso facevano parte di quella Favola. Noi ormai la conosciamo già. Gli elfi bambini la seguirono con attenzione e partecipazione, a volte a bocca aperta, a volte ridendo, e in certi momenti piangendo. Furono felici di averla sentita - anche se purtroppo non ne seppero mai la fine, poiché i loro genitori e gli Anziani li portarono via, all'improvviso, lontano da Brandobras.

Fu cosí che Brandobras decise di tornare al suo Villaggio-che-brilla-di-Luce-propria. Una mattina egli si incamminò per la sua Via-Fiorita, da solo, e si lasciò alle spalle il Villaggio-dove-splende-sempre-il-Sole. E non vi tornò mai piú.

E, almeno per il momento, non ci interessa ciò che fece in seguito.

Questa è la sua storia, e io l'ho raccontata a voi proprio come lui l'ha raccontata e cantata tante volte, accompagnato dal suo liuto.

So bene che voi pensate, come quegli elfi, che questa sia solo una favola. Invece non lo è. Ma, tanto, anche se vi mostrassi un calice sempre traboccante di vino, o un bastone rifulgente, o vestiti e mani che brillano, voi non mi credereste lo stesso, oppure scappereste via.

Fine.


Bosch: The Prodigal Son

1999-06-01
P. G. Luca Mana